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# 02 Plurilinguisme : de l'expérience multiculturelle à l'expérimentation

Pierpaolo Antonello, Dimenticare Pasolini. Intellettuali e impegno nell’Italia contemporanea, Milano-Udine, Mimesis, 2013.

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Malgrado il titolo volutamente iconoclasta – coniato sulla falsariga dell’Oublier Foucault (1977) di Jean Baudrillard – Dimenticare Pasolini di Pierpaolo Antonello non si presenta come un attacco al pensiero pasoliniano, bensì come ingiunzione a sorpassare il mito Pasolini per una rinnovata percezione del ruolo degli intellettuali nell’Italia contemporanea. Da reazione contro le continue lamentele sulla scomparsa dell’intellettuale vaticinante, il saggio, pubblicato da Mimesis, diventa vera e propria operazione costruttiva che mira a spostare i termini di un dibattito bloccato su una visione ideale, quella di Pasolini come cristallizzazione della figura mitica dell’intellettuale. L’autore, professore di letteratura italiana all’Università di Cambridge, assume una posizione decisamente controcorrente, dimostrando la vitalità di un’intellettualità diffusa, contrapposta ad un intellettualismo verticistico e prescrittivo. Antonello evidenzia le forme odierne di impegno, in una prospettiva di riflessione sul postmoderno, proseguendo uno studio inaugurato in parte dalla raccolta di saggi Postmodern Impegno: Ethics and Commitment in Contemporary Italian Culture (2009) curata con Florian Mussgnug. La genesi del libro è così determinata dalla volontà di mettere a disposizione di un pubblico italiano un lavoro svolto precedentemente in inglese.

La tesi centrale di Antonello è che l’impegno sia tutt’altro che estinto in epoca postmoderna, in aperta opposizione con la vulgata che considera il periodo contemporaneo come mero declino rispetto all’età dell’oro dell’intellettualità, compresa tra gli anni 1950 e 1970. In un primo tempo (introduzione e primo capitolo), l’autore delimita chiaramente i suoi intenti: se lo spunto è quello di un’indignazione, la reazione di Antonello non si limita tuttavia allo sbalzo d’umore ma verte su un’analisi in profondità, per denunciare un dibattito posto troppo spesso in termini superficiali od emotivi (“vulgate giornalistiche” p. 10, “toni scettici, critici, a volte disperati” p. 9). Antonello mette in avanti la necessità di ridimensionare il coro del lamento, costituito da un gruppo ben limitato socialmente e numericamente, artificialmente gonfiato dall’attenzione mediatica. Movimento essenzialmente egotistico, il lamento per la scomparsa degli intellettuali pubblici ci impedisce di scorgere forme di impegno alternative a quella tradizionale dell’intellettuale vate che corrispondeva ad una particolare situazione storica. Questa produzione elegiaca intrisa di “conformismo critico” (p. 11) trascura in effetti il complesso rapporto fra intellettuali, industria culturale e mass-media, ricorrendo a quadri di pensiero obsoleti. La concezione esigua dell’impegno in campo italiano poggia in particolare su un malinteso rispetto ai mass-media, considerati dagli intellettuali tradizionali unicamente come strumenti al servizio del neo-capitalismo.

L’intellettuale pubblico nasce con i mass-media (Antonello richiama il “J’accuse” di Zola pubblicato su L’Aurore) e deve agire, per essere efficace, all’interno dell’industria culturale. L’autore fustiga certi atteggiamenti conservatori da parte degli intellettuali tradizionali, quali l’ “analfabetismo tecnologico” (p. 84), la negazione della dimensione economica del prodotto culturale e la chiusura in sfere accademiche autoreferenziali. Contro questo accecamento e contro l’uso generalizzato di tonalità apocalittiche, Antonello propone nuovi strumenti per individuare gli intellettuali dell’Italia di oggi. Centrale è la considerazione dell’entrata in una società dell’informazione e della comunicazione che modifica radicalmente i rapporti pubblici, accelerando la velocità dei giudizi collettivi e mettendo in relazione “una massa di persone critiche” (p. 16). In una prospettiva post-egemonica, Antonello sottolinea l’atteggiamento “engagé” 1 di una popolazione più informata, e perciò, secondo lui, più critica ed autonoma, contro un certo elitismo prevalente, ossia “un gruppo ristretto di opinion makers con le loro periodiche crisi di rappresentazione” (p. 20). Rifacendosi alla definizione gramsciana dell’intellettuale per il suo fondamentale aspetto democratico, l’autore delinea poi una tipologia che oppone un intellettualismo moralistico, paternalistico e quindi verticale, ormai sorpassato, ad un’intellettualità diffusa, partecipativa ed orizzontale. Le poste in gioco di tale dibattito sulla funzione dell’intellettuale nella vita civile vanno ben al di là della sfera esigua di un gruppo corporativo, dato che sono legate a specifici atteggiamenti sociali, professionali e politici.

Se assume in un primo momento i toni polemici dell’invettiva, il saggio dimostra a partire dal capitolo secondo una grande attenzione alla pars construens, pregio che lo distingue dalla massa di scritti nostalgici sull’impegno intellettuale in Italia. Il modello dei social networks, con la loro perdita di un centro gerarchico, suggeriscono nuovi spazi di discussione pubblica, così come il successo dei blogs letterari in Italia segna un movimento di espansione verso un pubblico più esteso. Dimostrando la stessa volontà di ricupero positivo, il capitolo terzo che dà il titolo all’opera ci intima di dimenticare il Pasolini ormai impraticabile, per ricercare invece gli usi possibili del suo lascito. L’atteggiamento di ossequio nei confronti di Pasolini contribuisce, secondo Antonello, a sclerotizzare il dibattito politico-culturale e determina inoltre un’abdicazione della propria capacità di pensiero. La spesa esistenziale radicale che fa dell’intellettuale un martire e l’assenza di un pensiero pasoliniano sistematico al di fuori della passionalità fanno di Pasolini un modello difficilmente adattabile al caso odierno. Al contrario, il valore morale consegnatoci da Pasolini viene identificato come “la libertà potenziale che si è concesso rispetto allo schematismo ideologico che lo circondava” (p. 109), lezione reinterpretata da vari autori contemporanei quali Nanni Moretti, Carlo Lucarelli, Marco Tullio Giordana, Marco Paolini, Roberto Saviano. Partendo dall’ “io so” pasoliniano 2 , hanno saputo andare oltre la passionalità individuale, verso una forma di disamina razionale e collettiva. Infine, il riferimento al pensiero di Primo Levi, incrociato con il retaggio pasoliniano più attuale, si rivela particolarmente utile per additare un nuovo modello d’impegno post-ideologico. Lo spostamento dal politico verso l’etico ed il civile avviene nell’ultimo capitolo, incentrato sulla post-modernità intesa come momento storico, definita da un sistema di co-dipendenza e di globalizzazione. In quanto dà nascita a nuove posizioni etiche con un forte accento posto sulle relazioni di vicinanza, la post-modernità viene esaminata nella sua capacità di portare ad una risemantizzazione della nozione di impegno.

Dimenticare Pasolini, oltre ad essere un saggio assolutamente illuminante per chi si interessa di letteratura, cultura, rivoluzione digitale e processi cognitivi ed educativi, costituisce un contributo assolutamente necessario al dibattito su cultura ed impegno in Italia. Lungi dal contentarsi di verdetti accusatori contro la tv-spazzatura o il “deserto culturale” dei giovani (p. 25), ricerca le ragioni della diagnosi della “crisi” dell’intellettuale in un contesto sociale, generazionale e pedagogico più ampio. Il grande pregio del libro è di invertire i termini della questione per sottolineare le potenzialità del caso culturale italiano, dimostrando anche attraverso dati statistici quanto la lettura sia per esempio un’attività ancorata molto più saldamente nelle generazioni attuali. L’attenzione al principio di realtà e la costante storicizzazione di figure e fatti fanno risaltare la ristrettezza di un modello unico di impegno.

Il progetto è ambizioso poiché si tratta di riformare un modo di pensare, ma la dimostrazione è condotta con brio. Lo sfruttamento dell’esperienza personale dell’autore, arricchita di una visione internazionale, permette uno sguardo rinnovato e senza complessi sul contesto italiano. Antonello ricorre ad una terminologia deleuziana fondamentale per la sua definizione dell’ “intellettuale come forza diffusa, […] interstiziale, capace di produrre forme di ‘contagio’ orizzontale” (p. 18) o di “intelligenza diffusa e rizomatica” (p. 10). Ne scaturisce un’esigenza alta dell’attività critica, sempre all’erta e che non può nascondersi dietro figure autorevoli.

La varietà dei riferimenti e degli esempi tratti da discipline diverse (letteratura, psicologia, filosofia, sociologia) contribuisce alla vivacità della scrittura, come gli accenti polemici abbinati a formule inventive (“Pasolini TM” p. 21, “ventriloquismo intergenerazionale” p. 145). I paralleli fertili rivelano uno sguardo complessivo che non rinuncia pertanto alla precisione. L’accenno all’attività di scrittori, attori e registi contemporanei nel terzo capitolo fornisce inoltre un cambio di prospettiva, fuori del mondo della critica universitaria o militante, che potrebbe fornire lo spunto per uno studio ulteriore. Il ridimensionamento del postmodernismo come stile o modo espressivo è svolto in maniera molto stimolante, attraverso l’individuazione di forme di impegno nella produzione di genere, in letteratura e nel cinema. Antonello individua una continuazione nell’atteggiamento della critica militante che svaluta tale produzione di genere, accusandola di essersi scartata dall’imperativo realistico, unica modalità estetica giudicata degna per una riflessione politica. La deviazione attraverso il cinema politico di genere degli anni 1960 e 1970 si rivela per esempio azzeccata per chiarire la ricezione del giallo contemporaneo come romanzo sociale (il riferimento è a M. Sangiorgi e L. Telò (a cura di), Il giallo italiano come nuovo romanzo sociale, Ravenna, Angelo Longo, 2004), vero e proprio successo di pubblico ma disprezzato dalla critica come produzione bassa, ludica e quindi disimpegnata.

Una riserva concerne tuttavia il libro come oggetto stampato. I numerosi refusi, come la non corrispondenza tra richiami di note e note a piè di pagina nel caso di un capitolo, se non sminuiscono la forza della tesi, alterano la qualità della lettura e la rendono faticosa.

Al di fuori di questa considerazione, Dimenticare Pasolini colpisce nel segno: proponendo una riflessione densa ma chiara, che naviga tra fonti e campi diversi, coinvolge il lettore, riflettendo così l’intenzione centrale del saggio di far prevalere il percorso autonomo di ciascuno rispetto ad una forma autorevole di conoscenza.



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  1. In francese nel testo.
  2. “Il romanzo delle stragi” di Pasolini apparso originariamente sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974 (“Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti […]. Ma non ho le prove.”) viene ricordato come tipica denuncia politica da parte dell’intellettuale; in P. Pasolini, Saggi sulla politica e la società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Milano, Meridiani Mondadori, 1999, p. 363.

Auteur

Marie-France Courriol est allocataire monitrice de recherche à l’Université Lille 3 en études italiennes, et membre du laboratoire CECILLE. Elle travaille sur l'histoire culturelle du cinéma italien et termine une thèse de doctorat en co-tutelle avec l’Université de Cambridge, portant sur les films de guerre de l’Italie fasciste.

Pour citer cet article

Marie-France Courriol, Pierpaolo Antonello, Dimenticare Pasolini. Intellettuali e impegno nell’Italia contemporanea, Milano-Udine, Mimesis, 2013., ©2014 Quaderna, mis en ligne le 18 mars 2014, url permanente : https://quaderna.org/2/pierpaolo-antonello-dimenticare-pasolini-intellettuali-e-impegno-nellitalia-contemporanea-milano-udine-mimesis-2013/

Pierpaolo Antonello, Dimenticare Pasolini. Intellettuali e impegno nell’Italia contemporanea, Milano-Udine, Mimesis, 2013.
Marie-France Courriol

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